Logotipo Pietro Marchese
home
mostre personali
i had a [..]

I had a dream

October 2013
mostre personali Fondazione Torre Colombera, Gorla Maggiore VA, Italy dal 29 Settembre al 29 Ottobre

Poster I had a dream

My cursor

A cura di Carolina Lio
Le antiche civiltà ci riportano innumerevoli testimonianze di deità metà animali e metà umani, in genere con la testa animale e il corpo umano - o viceversa. Un mistero mostruoso e temibile che assiri, egiziani, antichi greci e romani, tra molte altre civiltà della storia, hanno usato per rappresentare delle figure che pure ritenevano divine. Stupisce che tante culture diverse abbiano trovato in questa rappresentazione tanto fantasiosa una linea di accordo e fa pensare il come la stessa letteratura molte volte abbia fatto altrettanto, creando epiche o favole recitate da simili personaggi: animali umanizzati quanto uomini bestializzati. È difficile in creature come il Minotauro, i Centauri, le Arpie, i Cinocefali egiziani (uomini con la testa di cane), il Lamassu assiro (toro con la testa umana) e molte altre, dire dove inizia l'animale e finisce l'umano. La psicologia spiccia può giustificare ciò come un incontro tra razionalità e istinto, ma all'interno dell'uomo questo connubio deve rappresentare qualcosa di più profondo. È evidente che nell'animale non vediamo qualcosa di estraneo, ma di nostro. Esalta le nostre caratteristiche, non le snatura, e semmai le perfeziona, tanto che persino gli Angeli nella loro più comune iconografia, a ben guardare, non sono che un innesto di una componente che riconosciamo prettamente animale (le ali) sulle scapole di un uomo. Persino la figura di Cristo fino al IV secolo poteva essere rappresentata esclusivamente come un umano con la testa di agnello ed è comune per noi chiamarlo "Agnello di Dio", sottolineandone purezza e sacrificio. Nel lavoro di Pietro Marchese Year zero, un agnello avvolto in fasce e deposto sulla paglia non può che richiamare a questo.

Altre iconografie già conosciute sono quelle di un uomo-rospo e di un uomo-cavallo che "ha fatto un sogno", come ci rivela il titolo dell'opera. Infatti, nell'interpretazione dei sogni molto spazio si dà alle figure animali, ognuna delle quali sembra essere portatrice di un significato magico. È il mondo delle meraviglie - quello di Alice come quello di innumerevoli altre fiabe - che vede gli animali incarnare delle tipologie umane, dei caratteri e dei segni. Nell'opera di Marchese The eight wonders (Le otto meraviglie), uomini strisciano fuori dalle loro case a conchiglia, come fossero una chiocciola, allungandosi verso il mondo con curiosità e prudenza, stupore e sospetto. Che cosa c'è là fuori ad attenderli? Quel mondo incantato che si presenta ai loro e ai nostri occhi è una terra promessa o un'illusione? Le sirene del mare di Sicilia, come quella stessa scolpita dall'artista, ammaliano gli Ulisse per dare loro la felicità che cantano oppure solo per catturarli prigionieri e portarli alla morte? Il The end di questa favola è un bacio d'amore o un principe che resta per metà rospo e che sente il suo sogno romantico disciogliersi e perdersi? La piccola principessa dorata non sarà mai la sua sposa, così come molte altre creature femminili non saranno mai principessa e non arriveranno mai ad essere desiderate. In Light, per esempio, una figura esile di donna dalla testa e le braccia di elefante poggia su una base a forma di freccia, in direzione di un Vanity Fair con in copertina Marilyn Monroe, simbolo di una leggerezza e di una bellezza che a lei è negata.

Miti irraggiungibili di felicità quindi, inquinano o profumano, a seconda dei casi, l'atmosfera di una popolazione di mezzi uomini e mezzi animali che hanno sognato e sperato con tutte le loro forze, ma che alla fine si ritrovano ancora irrimediabilmente soli, ancora brutti e affranti, ancora a parte da una meraviglia che sembra esistere, ma a cui loro non possono accedere. E' una condanna. I bassorilievi dell'opera Irri-verente richiamano appunto all'idea di una crocifissione, mostrano altri animali umanoidi e condannati a morte. Sopra la loro testa i dati della loro nascita, di dove sono stati allevati e di dove saranno macellati. Corpi brutti e deformi di anime disperate con le mani in preghiera che chiedono una salvezza che non sarà loro accordata. A questa morte si contrappone come un miraggio l'unica cosa che può dare la vita: l'amore. Così, in Life, un Adamo ed Eva cervidi e dorati sono rappresentati nel giardino dell'Eden identificato dal solo fiore che lui porge a lei.

L'espressione timida e innamorata, i gesti delicati e pudichi, fanno pensare a una vita d'uscita da quel dolore tanto sofferto fin qui. Ma è una Exit reale? Questo è quello che sembrano chiedersi i due rinoceronti dal corpo un po' nano e un po' bambino, nella loro immaturità paurosa e scettica, pesante e ancorata a terra, che non si fida di seguire il sentiero che dovrebbe condurli fuori da quella terra nuda, sabbia scura, priva di vita, che li limita come in una gabbia. Andare o non andare? Provare a uscire fuori dal recinto non sapendo cosa li aspetta lì fuori o perdurare in una infantilità irrealizzata e statica? In un'altra opera, due alligatori, anch'essi dal corpo umano, fanno un tentativo di uscita da questo stato. E infatti crescono, e si allungano, e il loro corpo è un corpo più lungo e adulto, proteso in avanti. Ma non trovano quello che cercano e si reincontrano faccia a faccia divisi solo da un uovo misterioso e ambiguo. Se l'uovo dovrebbe essere inizio di qualcosa qui è però illuminato dalla scritta al neon che dà il titolo al lavoro: Game over. È un uovo falso, quindi. Un nuovo inizio che si rivela una fine, un inganno del destino, della fortuna, un inganno di Dio, che ci pone davanti una falsa natività Made in China. Un San Giuseppe metà uomo metà falco e la sua sposa vergine metà donna metà Ariete, depongono sulla paglia un uovo argentato che però riporta il logo del più famoso marchio di fast-food al mondo. È un falso. E' tutto falso, sembra dirci desolato il cavallo di I had a dream. Era un sogno. Era solo un sogno. Avvilito, con la testa bassa e lo sguardo incavato e vuoto, nero di solitudine e inginocchiato in un'impotenza che non riesce a rialzarsi, l'irrealtà della felicità lo opprime.

Questa visione apocalittica, non completamente drammatica in quanto sottilmente ironica, ricorda in versione contemporanea e pop le atmosfere delle Quattro visioni dell'Aldilà o Le tavole del Diluvio di Hieronymus Bosch. Una forma di punizione e di espiazione, una sorta di inferno che nasce e si muove nella mancanza di un amore autentico, di una terra fertile e di una gioia reale percorre corpi umani, la loro testa confusa e stordita dalla sofferenza che non può che farli regredire alla forma di animale. Un animale ottuso, che guarda senza capire, che subisce senza trovare un senso, che è dotato del cuore di un uomo in un petto totalmente umano, ma che non lo collega ai pensieri e resta immobile e quasi attonito. Un animale che prega e chiede, che recita "Chiedete e vi sarà dato" e resta istupidito nel vedere che questa cosa in cui confida non avviene. Così prende forma la favola a finale non lieto messa in scena da Pietro Marchese, con i suoi attori fatti di divinità cadute, dai sogni ridotti in pezzi, dalla grandezza spezzata, dal cuore sospeso.