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Sirena di Sicilia

June 2008
mostre personali Castello Maniace, Siracusa SR, Italy 5 Luglio 2008 ore 19:30

Manifesto Sirena di Sicilia

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A cura di Paolo Giansiracusa
Già dorme in fondo al mare la figlia di Calliope, è ritornata nel luogo originario dell’esistenza dove ogni creatura ritorna ad essere polvere, sostanza per nuove creature della terra, del cielo e dell’acqua. La sua luce, l’energia espressa dall’intelligenza, è confluita nel punto focale di tutte le presenze. Ora dorme in fondo al mare Raushana, la finestra di luce. La sua ampia pinna riposa sulla sabbia di coralli e di conchiglie. La sua lunga treccia si muove leggera nella vibrazione dell’acqua, come tremulo ramo fiorito le accarezza la schiena. Domani le farà compagnia la sirena di un giovane scultore, una creatura di bronzo nata come un pesce sull’onda dell’estro creativo che alimenta i figli di Aretusa.

L’artista è Pietro Marchese educato alla scultura nell’antica Scuola d’Arte di Siracusa, luogo di ingegni della pittura e delle arti plastiche, della decorazione e dell’architettura. Spazio deputato all’esercizio dell’arte nel quale, dopo la fioritura del liberty, sono germogliati i valori nuovi dell’espressionismo europeo. La specializzazione dello scultore è avvenuta nella prestigiosa Accademia di Belle Arti di Carrara, tra marmi cristallini, a cui rubare la luce, e argille azzurre, fresche di cava e odorose di una natura primordiale.

Adesso vive tra Milano e Siracusa, tra Brera e l’isola di Ortigia, sia nello spazio del confronto contemporaneo, dove emergono forti le istanze e le inquietudini dell’umanità nuova, che nel luogo magico degli antichi miti, accanto alla grande scultura del teatro greco intagliato direttamente sul cuore della terra, a contatto con le acque che hanno bagnato Teocrito e Archimede, nella stessa pista antica frequentata dall’apostolo Paolo e dalla martire Lucia, da Platone a Vittorini, da Antonello e da Caravaggio.

Nell’Accademia di Belle Arti del capoluogo lombardo, collaborando all’attività della docenza, ha portato quella dimensione di luce che accompagna gli artisti migliori del Mediterraneo. La sua scultura è carica dei valori di una terra antica dove la tecnica non è mai disgiunta dall’espressione, dove la forma virtuosa è sempre rivelazione di un mestiere faticosamente conquistato attraverso l’esercizio quotidiano. Nel suo recente Teatro di Figura hanno trovato la giusta simbiosi la ricerca plastica e la visione ironica del quotidiano, la leggerezza della forma e lo scatto dinamico del gesto popolare. Giovane di grande entusiasmo, si consuma nella passione dell’arte da cui trae la linfa vitale dell’esistenza. Lento e indagatore, scrupoloso e puntuale, nel suo fare artistico penetra negli equilibri della materia che piega alle sue forme bilanciate, ai suoi volumi puri, ai suoi intrecci materici ora rugosi per catturare la luce, ora pettinati e sciolti per coinvolgere l’aria, oppure piani e levigati per dare il senso della trasparenza.

Scultore di terre morbide e di pietre durissime, si misura con la materia annegandosi in essa, ingaggiando con i marmi una lotta fatta di passione e sentimento, di coraggio e d’amore. Il suo fare cortese, nell’esercizio scultoreo, si fa azione determinata, solco deciso, intaglio perfetto. Dall’incontro creativo con l’artista la materia emerge verso una nuova luce con una identità forte che è rivelazione di quel piacere profondo, misto di valori istintivi, di desideri che appartengono alla stagione dell’origine del tempo. Marchese ha modellato nell’argilla una fanciulla, una creatura d’acqua e di terra, una bella sirena destinata ad esprimere la sua vita nelle profondità marine, davanti a misteriose spelonche, fra tritoni saettanti e pesci multicolori, nel silenzio e nel mistero di un luogo che potrà essere raggiunto solo da coraggiosi, abili, nuotatori. Si ripete con questa creatura di bronzo un sogno antico che è di tutti i pescatori del Mediterraneo e anche di alcuni artisti sensibili ai miti dell’acqua: vedere la sirena su uno scoglio, a scrutare l’orizzonte lontano, oppure incontrarla nell’acqua mentre il suo corpo acrobatico mostra il magnifico torso luccicante.

Focus Sirena di Sicilia

Chi non la vista l’ha sognata e poi ha voluto riprodurne le morbide carni nella pietra dorata, nel freddo metallo, nel legno odoroso di essenze pungenti. Si tratta di un mito del mare il cui ricordo e vivo e palpitante tra gli abitanti della costa ionica e che in più occasioni è stato ripreso nelle forme dell’arte. Un esempio di straordinaria bellezza e nel rinascimentale Palazzo Lantieri alla turba dal cui cantonale, come a volere conquistare il palpito vitale dell’esistenza, si stacca una giovane sirena. Fuoriesce dal masso di calcarenite con una straordinaria leggerezza, la stessa che disegna l’onda quando staccandosi dalla massa marina accarezza con riccioli e spuma il cielo profumato di polline. Altro caso e nei pressi della fonte Aretusa, luogo di miti e di leggende. Nella casa seicentesca dei Blanco, in una mensola dalle forme umane, tra cartocci barocchi e girali fantasiosi, si riconoscono le sembianze di una sirena che si proietta verso il luogo urbano. È scolpita nel bianco calcare di Siracusa e la disegnò l’architetto ispano-siculo Giovanni Vermexio ispirandosi, probabilmente, alle polene imponenti dei galeoni spagnoli che un tempo solcavano le acque del Porto Grande, specchiandosi con le sculture di sirene e tritoni nel mare di Alfeo e Aretusa. Nello stesso luogo in cui il dio innamorato, sprofondando nella regione di Olimpia, dopo avere attraversato lo jonio, riemerse come fiume impetuoso. Ed è qui, nelle acque di Siracusa, che si congiunge alla ninfa.

L’alfeo, raccontano, fiume dell’Elide, qui venne, per vie sotto il mare segrete, ora qui sulla tua bocca, Aretusa, alle sicule onde si mesce (Eneide, III, 696-698).

Dalla fonte Aretusa comincia l’avventura stessa di Siracusa, vicino all’acqua erano stanziati i Siculi, i primi abitatori dell’isola, e da questo stesso luogo ebbero inizio le vicende politiche e commerciali dei greci di Sicilia.
L’acqua era ed è fonte di vita e Archia non avrebbe fondato alcuna città in un luogo senza quella sorgente a cui poter attingere comodamente e copiosamente.
All’acqua fu assegnato il compito di tenere legati i greci di Sicilia alla madre patria. Nell’avventura di Alfeo che sprofonda nella regione di Olimpia, attraversa misteriosamente le acque del Mediterraneo, per poi spuntare in Sicilia dinanzi l’isola di Ortigia, c’è il grande bisogno degli isolani della colonia di sentirsi legati alla madre patria. Alfeo, secondo il sentimento popolare, accorcia le distanze tra la Grecia e Siracusa. Sentire le sue acque gorgogliare sulla bocca di Aretusa significava per i greci di Sicilia percepire il respiro della stessa patria di origine. Sull’acqua dei due porti e in quella del mare che costeggia il territorio è scritta la storia tutta della città. Le autostrade, gli aeroporti, le ferrovie….di Gelone e di Dioniso erano sull’acqua e grazie ad essa la città di Siracusa fu importante e potente al cospetto di tutti gli altri popoli del Mediterraneo.

Della stessa età della scultura vermexiana, e cioè del primo quarto del Seicento, è quell’intreccio raffinatissimo di sirene e di tritoni che, trasformandosi in sostegno strutturale dell’architettura, inghirlandano il portale barocco della Chiesa San Filippo Neri alla Mastrarua. Mostri e sirene, maschere e tritoni, scolpiti scolpiti sulle pietre di Ortigia che guardano il matre, hanno valore apotropaico, allontanano gli spiriti del male, scongiurano le tempeste, proteggono i naviganti e le loro case. Degli inizi del Novecento è la bella scultura di Giulio e Mario Moschetti in cui la passione d’amore di Alfeo si fa gesto gentile sotto l’occhio vigile di Artemide. Attorno allo scoglio, Ortigia, in cui hanno trovato dimora, fanno festa i tritoni e cavalli marini scattanti, naiadi e sirene dalle lunghe chiome, allegri puttini e pesci imprendibili. La sirena colpisce in particolare, sia perché la sua memoria ci riporta ai versi di Virgilio e Strabone, ma anche a motivo dei racconti più recenti di illustri scrittori e in particolare di Tomasi di Lampedusa.

In altri contesti monumentali dell’isola ne esistono numerose versioni. La più interessante è quella del Palazzo del Governatore di Pietraperzia: una fanciulla nuda dai piccoli seni si protende verso il luogo urbano. Le squame lunghe e ricciolute le cingono il bacino e poi due code al posto delle gambe si attorcigliano e affondano come per perdersi nello spessore murario. Lo sguardo è rivolto verso il basso, a curiosare sui passanti. A Napoli, al Museo Navale di San Martino, c’è la prua di una nave dell’età barocca in cui due sirene fiancheggiano uno scudo reale. Le creature marine dalla folta acconciatura con una mano reggono lo stemma ligneo dorato con l’altra, in posizione araldica, soffiano all’interno della conchiglia per emettere il suono dalla melodia incantatrice. Con lo sguardo si volgono sui lati opposti come a voler controllare, insieme, tutto l’arco visivo, proprio come le figure scolpite sulle mensole pietrine. Sono nude e offrono all’onda i loro seni generosi. Dal bacino in poi il bacino si fa pesciforme e si avvolge in coda sinuosa. Il vento modella e accarezza le loro carni. Nella parte superiore del corpo, piume miste a fogliame generoso le avvolgono sui fianchi e le lanciano sicure verso l’infinito. I seni torniti e i fianchi scoperti incuriosiscono gli umani, popolando i loro sogni.

L’ultima figlia del dio Acheloo, emersa dall’onda dell’arte, è ora Rossana Maiorca, campionessa di immersione in apnea, donna forte, dotata di quel coraggio e di quella energia che Teocrito riconosce tra i valori identificativi delle siracusane. Il suo record è stato quello di giungere nel 1988 a meno 80 metri in assetto variabile. Una sfida sovrumana incisa nella cronaca del tempo e proiettata nella storia, non solo per la rilevanza sportiva ma anche per essere il valore aggiunto dell’emancipazione e dell’espressione della donna nell’ultima manciata di anni del secondo millennio.
A lei ha pensato intensamente Pietro Marchese, alle sue conquiste, alle sue sfide, al suo carattere forte. Pensare per progettare, per modellare una immagine compiuta da consegnare alla città di Aretusa, una scultura che possa costituire il ricordo della campionessa non solo in senso formale.
Per tale ragione, tra le espressioni possibili, l’idea vincente è stata quella di modellare una sirena da consegnare al mare di Siracusa e in particolare quello antistante il Plemmirio ondoso in memoria virgiliana. È così che è nata la sirena Rossana, scultura che potrà nel tempo far pensare ai profondi palazzi d’acqua nei quali amava inabissarsi.

L’artista l’ha tornita come un fuso d’avorio, poi le ha dato nella coda la vibrazione del nuoto.
Nelle lunghe dita delle mani, intorno cui l’acqua farà mulinello, ha tracciato l’idea del viaggio sull’onda.
Nel viso, rivolto ai luoghi della luce, ha inciso una leggera espressione di tristezza, la stessa che vela lo sguardo di chi partendo è costretto a lasciare sulla linea della costa gli affetti più cari. 

Finora Marchese con la sua intuizione plastica, il segno graffiante e la materia tormentata, aveva tracciato un taccuino di viaggio intorno all’uomo, ai suoi problemi nel tempo presente, al suo dramma tessuto con le trame dell’intolleranza e dell’incomprensione. Nelle opere recenti un silenzio atroce avvolge i corpi di carne e si fa morsa che soffoca il respiro delle creature appena germogliate. Il suo è anche un racconto di vite recise, di contrasti feroci che sporcano l’orizzonte, che dilaniano i cuori. Ora pensando a Rossana Maiorca ha modellato la terra e l’argilla destinandola al fuoco della fusione metallica. Forte e docile allo stesso tempo, ha concepito una massa imprendibile ma cedevole al tatto, con le increspature terrose e le incisioni del vento e della fiamma. Ha modellato e scavato la materia facendola propria, attraversandola con forza come fosse terra d’aria e di luce. Ha immerso gli occhi e la mente nel ricordo di Rossana, ha ripercorso le sue passioni e le sue aspirazioni, ha cercato l’impronta di un’anima pura, di una creatura che amava profondamente la vita. Ha intrecciato il sogno di Rossana con il suo stesso sogno, quello dell’artista che vorrebbe superare ogni sfida.

Con la sirena Rossana, Marchese ci consegna un frammento della sua stessa vita, una proiezione profonda nei luoghi più intimi del suo essere. Nell’opera c’è il suo fare immediato, il suo volere subito, il suo gesto sincero, la sua voglia d’inventare. Tra le pieghe della scultura, nei suoi volumi c’è l’energia della mano che affonda, la passione del cuore che palpita, la vena pulsante dei desideri e dei segreti dell’io.
Nella sirena Rossana c’è l’energia di chi vuol possedere il creato, di chi vuole trovare nella polvere dell’infinito le ragioni per esistere, le motivazioni del fare.