Quando il tempo mi dà la possibilità di visitare le mostre della Torre Colombera cerco di non lasciarmi sfuggire l’occasione. È una bella opportunità per pensare e per riflettere insieme a tanti miei compaesani, primo fra tutti l’animatore della Fondazione il signor Antonio Calvenzani. Così, volentieri, ho visitato le ultime mostre dell’antica Torre, per scoprire che l’arte di casa nostra, non è certamente inferiore a quella di artisti più titolati. La pro-vocazione mi è giunta dalle ultime due mostre. Uso la parola pro-vocazione nel senso etimologico del termine, ovvero “chiamato a rispondere, a entrare in dialogo”. Tra le molte pro-vocazioni della mostra di Pietro Marchese mi soffermo su una in particolare:
Irri verente, la croce intitolata Irri verente che raffigura un animale crocifisso. Certo che è Irri verente in sé: per un cristiano la rappresentazione infatti è a prima vista come “un pugno nello stomaco”; tuttavia, non conoscendo l’intento dell’artista, sospendo ogni giudizio. Successivamente, meditando, mi sono chiesto: è solo “irriverente” la raffigurazione che si vede? O è “irriverente” l’uso della croce che tante volte è stata falsamente adoperata non per annunci-are l’infinito amore del Crocefisso-Risorto, ma per utilizzarlo e piegarlo ai propri scopi? Anche questo fine è “irriverente” perché è un ripetere un’altra volta quell’insulto che si è udito ai piedi della Golgota: “se sei.......scendi....”.
In questo modo siamo noi a dire a Gesù che cosa deve fare. Purtroppo la nostra bimillenaria storia è piena di “irriverenze” verso l’Uomo della Croce.