Se abbiamo ben compreso la genesi creativa del personaggio zoo-antropofomorfo in Marchese, eccone d’improvviso balenare la sua funzione narrativa: l’iconografia ci conduce alla lettura iconologica.
Davanti all’ibrido-sfinge non c’è più l’individuo-Edipo ma la società con le sue imposizioni-costrizioni che diventa il motore di ricerca di senso delle trasformazioni ibridazioni che continuano ad interrogarci.
Ecco quindi il bisogno dell’artista di allestire una sorta di macchina scenica che imponga una vera e propria rappresentazione teatrale dove, spesso, tra il soggetto ibridato e il suo interlocutore – il sociale, il politico, il culturale si pone la scritta luminosa al led.
Le frasi luminose impongono icasticamente una improvvisa accelerazione che svela il senso dell’azione scenica: la luce accende la domanda che rivela il luogo dell’enigma da risolvere.
Il fruitore si scopre così al centro di una solitudine rivelatrice che premia la sua appassionata partecipazione al gioco impietoso cui viene costretto attraverso i repentini passaggi metaforici costruiti per lui come in un’appassionante space-game.
Il premio in questo finale di partita sarà sicuramente il passaggio ad un superiore livello di consapevolezza, guadagnato nella riflessione su una cultura che ha perduto definitivamente le chiavi d’accesso magico-sacrali ad una umanità comunque bisognosa di ridefinire la propria identità.