In questo lavoro Pietro Marchese ha indagato un’idea di coesistenza e di significati che risentono di un simbolismo antico, legato ai riti della natura e di ogni suo ciclo vitale.
Nell’unione degli opposti si fonde il presupposto di ogni esperienza umana. Il cervo è il simbolo della rigenerazione vitale, per il rinnovarsi periodico del palco, ovvero le sue corna che sono paragonate anche ai rami degli alberi per il loro valore allegorico di sviluppo e di unione tra le forze superiori e quelle inferiori.
In particolare questo rinnovo periodico del suo palco è stato visto come simbolo della fecondità, del rinnovo continuo della vita, dei ritmi di crescita, morte e rinascita tutto ciò anche in numerose tradizioni religiose. Mentre la cerva, consacrata nell’antichità ad Artemide-Diana, oltre alle qualità legate ai ritmi della natura di cui sopra indicati, porta con sé anche la sua grazia prettamente femminea. Si pensi alle tipiche espressioni “occhi da cerbiatta, agile e snella come una gazzella, una grazia da cerbiatta”.
Sin dai tempi antichi nell’area circumpolare i cervi vengono associati al simbolismo del sole e della luce, incarnandone gli aspetti di creazione e civilizzazione. In Grecia era consacrato a dei della purezza e della luce, come Apollo e Atena. La natura del cervo è indubbiamente espressione di purezza e sublimità.
Accanto al trono del Buddha è spesso raffigurata una coppia di cervi dorati. Lo stesso Buddha, in una vita precedente, si era reincarnato in un cervo dorato dalla voce melodiosa, la cui missione era calmare le passioni degli umani sprofondati nella disperazione e condurli verso l’ottuplice sentiero. Il cervo entrò presto nell’iconografia cristiana quale simbolo di Cristo che combatte e vince il demonio, raffigurato dal serpente. La rappresentazione del tenero gesto ovvero quello di donare un fiore, vuole dare forza all’espressione di un sentimento, il sentimento più nobile, più elevato dell’essere umano "l’Amore".